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Luglio 5, 2025

La cultura della guerra

La cultura della guerra
Luglio 5, 2025

La cultura della guerra

EDIT: sto pubblicando vecchie cose, lasciate nel cassetto da tempo immemore. Su questo lavorai per la prima volta nel 2006… Alcune cose sono invecchiate peggio, ma la totalità non mi pare malvagia: vale come dichiarazione di costanza. La mia posizione non cambia, è il mondo che continua a girare 🙂 

La guerra sembra accompagnare da sempre la presenza dell’uomo sulla terra, quasi come se si trattasse di una sua caratteristica innata ed immutabile. Si sono combattute guerre in ogni epoca storica e per i più vari motivi, ed i relativi periodi di pace a ben osservare erano in realtà periodi in cui le guerre venivano combattute fuori dalla nostra capacità d’osservazione. Ma nonostante questo la guerra attualmente risulta essere universalmente condannata: ogni cultura, ogni religione ed ogni Stato, aldilà di determinati casi particolari, la ripudia e la bolla come un sostanziale fallimento della ragione umana a favore dei suoi lati oscuri ed animaleschi. Ma, nonostante questa generale condanna della guerra come strumento per la risoluzione delle controversie tra Stati, e nonostante l’avversione personale di ogni singola persona allo spargimento di sangue, soprattutto se proprio, esistono sia definizioni della guerra come “continuazione della politica con altri mezzi”, sia casi di guerre combattute per motivi futili, o comunque ben lontani dall’interesse pubblico che sembrerebbe dover giustificare un impiego cospicuo di risorse sia economiche che umane da parte di una nazione.

Un’analisi storica della guerra fa notare come anche essa abbia subito delle trasformazioni molto ampie con il passare dei tempi. Volendo semplificare, si comincia con la guerra di sopravvivenza, in cui si combatte esclusivamente per evitare l’annientamento da parte di popolazioni ostili; poi si passa alla guerra di conquista, volta a conquistare spazi e risorse a nazioni che necessitano di espandersi e crescere, guerre per l’egemonia e la supremazia sulle altre potenze (come la Guerra Fredda), per arrivare infine al tipo di guerra che domina il nostro presente, ovvero la cosiddetta guerra preventiva, nella quale si teorizza che è lecito combattere anche per evitare pericoli non immediati ma probabili e futuri all’integrità di un Paese.

Quello che salta immediatamente all’occhio è che, mentre i primi tipi di guerra avevano come prerequisito essenziale la contiguità, ovvero la vicinanza geografica, degli Stati che la combattevano, la guerra preventiva non ne ha bisogno, e può essere tranquillamente combattuta da paesi che distano tra di loro migliaia di Km. Inoltre, almeno a questo stadio, coinvolge paesi con situazioni economiche e militari così diverse da ricordare il biblico scontro tra Davide e Golia.

Ma la caratteristica di rottura più grande con la guerra tradizionale è il suo caratterizzarsi come forma assoluta per rispondere ad un odio ed ad un pericolo esterno ancora più assoluto. Non si vuole affermare che nelle guerre precedenti non era presente l’odio come mezzo per far si che gli uomini, tendenzialmente restii a rischiare la propria vitai, cominciassero a desiderare di ammazzarsi tra di loro; anzi, abbiamo esempi eloquenti in quasi ogni periodo storico (dal lontanissimo “carthago delenda est” fino a Goebbels e la moderna propaganda di ogni ideologia e colore). La differenziazione principale nasce dal considerare il nemico non solo come un “qualcosa” da annientare, da cancellare quanto prima possibile dal nostro orizzonte, e neanche privandolo della sua umanità attraverso una completa disumanizzazione tramite la propaganda: l’altro diviene un bersaglio prima ancora di diventare realmente un nemico, per il semplice fatto che rischia di diventarlo in futuro. All’attualità del pericolo si sostituisce una previsione del futuro e la scelta delle mosse adatte a farlo essere il più possibile simile alle nostre aspettative; solo che, al posto di pianificare l’acquisto di una casa, si sta decidendo della vita e della morte di numeri spaventosamente alti di persone.

Si tratta di scegliere tra diversi tipi di futuro, sotto l’ombra costante del terrorismo, ultima frontiera di quella guerra asimmetrica cominciata con l’invenzione delle tecniche di guerriglia, a fare contemporaneamente da spada di Damocle e da pietra miliare. Quello che si paventa è il rischio concreto di venire azzerati da una minaccia onnipresente, non più geograficamente localizzata in un ipotetico “impero del male” come fu ai tempi del pericolo russo, e presente per tutti i cittadini in ogni singola giornata ed in ogni azione. Insomma, saremmo completamente circondati da orde di “barbari invasori” che premono ai nostri confini o già abitano nelle nostre città, pronti a cambiare per sempre i nostri costumi, il nostro stile di vita ed a cancellare tutti i vantaggi che la democrazia, che qui rappresenta la somma di tutto il buono che è stato prodotto dalla nostra società, ha apportato a noi ed ai paesi che abitiamo. Ed a questa minaccia è stato dato anche un nome: conflitto di civiltà. Con questo si intende dire che i modi di intendere la vita nei due opposti schieramenti, l’Occidente ed i Musulmani, sarebbero totalmente antitetici ed inconciliabili.

Arrivati a questo punto dell’analisi è lecito chiedersi: ma tutte queste differenze, esistono realmente o fanno parte di un processo che ci porta a considerare questa guerra come un qualcosa di inevitabile? O, anche: questo modo di fornire le informazioni è corretto oppure ha qualcosa a che vedere con la propaganda, che, ricordiamocelo, è stata in grado di generare vere e proprie persecuzioni che, a distanza di pochi anni sono state giudicate come insensate dalle stesse persone che precedentemente vi avevano creduto ciecamente?

Innanzi tutto, una breve analisi letterale di ciò che stiamo dicendo, per focalizzare meglio il discorso. C’è una civiltà della guerra, che con i mezzi dell’aggressione e della propaganda prospera e fa i suoi affari; ma non c’è una corrispondente guerra di civiltà, in quanto due diverse civiltà sono in grado di superare ed affrontare le controversie senza regredire, quindi senza utilizzare “elementi di persuasione” non verbali. Quando due presunte civiltà entrano in guerra, è perché entrambe sono civiltà della guerra, che intendono imporsi deliberatamente sull’avversario con la forza. Parlano la stessa lingua, anche se in maniera leggermente diversa, sono sostanzialmente omologhe, e cercano entrambe lo scontro e la sopraffazione fisica dell’altro. Non può esistere uno scontro di civiltà, è una contraddizione in termini: ha la stessa coerenza logica di frasi tipo “credente ateo” o “acqua asciutta”.

Quindi, evidentemente ci sono precise responsabilità e colpe da ambo le parti: ma, mentre questa affermazione non ci sconvolge se applicata agli “altri”, risulta difficile da accettare se applicata a “noi”, abituati a considerarci sempre e comunque dal lato della ragione. Non siamo abituati a considerarci una popolazione guerresca, e nonostante l’evidenza del fatto che le virtù belliche, come la competizione sfrenata e la scarsa considerazione riservata a chi perde ed al nemico, dominino il nostro modo di pensare, non riusciamo a comprendere come queste possano agire al di fuori dei confini del nostro vivere quotidiano. Ci è assolutamente impossibile, per esempio, pensare seriamente al fatto che le guerre giuste che abbiamo combattuto abbiano in realtà avuto altri scopi, come la conquista o l’accaparrare risorse, o l’interesse di pochi che, come al solito, viene posto avanti a quello di che quella guerra dovrà subirla o combatterla. Ci risulta estremamente difficile ammettere di avere torto, tanto da considerare “disfattista” chi lo fa; tutto questo ci porta necessariamente a considerare l’altro, che da questo momento in poi diventa nemico, come fonte di ogni stortura ed errore.

Mentre, invece, a ben guardare si notano delle similitudini che sono molto più forti di quanto si possa credere, che si ritrovano sia analizzando il passato che nel presente.

Per quanto riguarda il passato, si tende a rimuovere il fatto che la cultura musulmana sia fondata per una percentuale rilevante dalla Bibbia, sia Antico che Nuovo Testamento, facendo si che la maggior parte dei precetti e degli insegnamenti siano sostanzialmente identici, anche se spesso interpretati in maniera differente. Questo deriva dal fatto che il Nuovo Testamento non contiene direttamente al suo interno una parte normativa, che è stata codificata dalla Chiesa nel corso dei secoli, e che quindi non è stata assorbita anche dai nostri cugini. Stesso discorso vale per il Corano, che sebbene sia dotato di una nutrita parte normativa, non è “passato” nella tradizione cristiana prima e cattolica poi in quanto nel frattempo le due religioni avevano preso strade diverse. Bisogna poi notare come la reale emancipazione delle libertà relative alla coscienza religiosa sono sempre andate di pari passo con una forte perdita di potere della religione in generale. Ovunque nel mondo una religione si afferma ed ottiene potere politico, si assiste alla limitazione di diritti, soprattutto delle donne, ed ad un atteggiamento punitivo nei confronti della scienza e delle libertà in generale. Ultimo esempio è l’attacco sferrato in America dai sostenitori dell’Intelligent Design, ennesimo tentativo in salsa neocreazionista di giustificare la nostra presenza sul pianeta, nei confronti della teoria dell’evoluzione. Una relativamente debole presa di potere da parte di una corrente religiosa ha portato immediatamente alla ricerca di privilegi per le proprie posizioni, tentando di imporre a tutti quel miracolo che dovrebbe essere la fede.

Nel presente, invece, quello che ci unisce è il fatto che due popolazioni che non sembrano condividere nulla, ma che in realtà hanno una buona percentuale di asserzioni base identiche, in realtà non differiscono di molto neanche nella gestione politica. La disumanizzazione in medioriente del Grande Satana Bianco va di pari passo con la demonizzazione di tutto ciò che sa di arabo in occidente. E’ difficile negare l’esistenza di un forte senso di alterità che di tanto in tanto genera vere e proprie ondate di terrore. La famiglia mediorientale “scaricata” da un traghetto a Venezia perché sospetta è il campanello d’allarme di un clima di costante terrorismo psicologico esercitato su di noi in maniera indiscriminata sia dalle fonti di informazione che da enti più istituzionali, attuato su di noi per scopi che non sono per niente chiari.

Lo stesso avviene dall’altra parte: per ignoranza e per mancanza di comunicazione ci troviamo ad aver paura di gente che non conosciamo e che probabilmente non incontreremo mai. L’occidente non è solo le bombe, come l’islam non è fatto solo di madrase e cinture esplosive, e gli unici a non avere interesse a farci avere queste informazioni fondamentali per la nostra libera interpretazione della realtà sono proprio coloro che alla nostra sicurezza debbono provvedere. Coloro i quali incassano da noi soldi e fiducia, e che generalmente la utilizzano per aumentare il proprio potere personale e gli zeri sugli estratti conto. Ad una globalizzazione dei quadri di comando è conseguita una forte divisione in due della base della piramide della popolazione, se non proprio indotta quantomeno favorita da coloro i quali da questo stato di cose traggono un beneficio. Oramai è stato appurato oltre ogni ragionevole dubbio il ruolo di ricchi petrolieri arabi nella politica occidentale in genere, come i rapporti di affari ed amicizia che legavano il presidente Bush con il suo ricercato n. 1, Osama Bin Laden. Eppure questo non ha fatto nascere sospetti o serie proteste in nessuna delle due contrapposte fazioni. Ci sarebbe da chiedersi perché, se si considera il fatto che enunciare le proprie opinioni potrebbe costare un’accusa di antipatriottismo o peggio.

E questo ci fa affrontare l’ultimo aspetto delle similitudini che ci sono tra il nostro ed il loro modo di vivere questo particolare periodo di guerre, anche se a bassa intensità: l’accettazione di limitazioni alle proprie libertà in funzione di motivazioni che non siamo oggettivamente in grado di valutare. L’errata percezione del pericolo fa si che si rendano necessarie rinunce e modificazioni proprio di quello stile di vita che la democrazia, il bene prezioso da difendere, ci concede. Dall’altro lato della barricata, invece, per gli stessi motivi si spinge la gente ad aderire alle forme più radicali della religione per rivendicare in maniera evidente la propria diversità da coloro che vengono percepiti esclusivamente come crociati ed invasori. Bombe intelligenti e kamikaze si generano a vicenda, rincorrendosi a ritroso nella storia come l’uovo con la gallina, costringendo entrambe le parti a dare il peggio di se.

Disse B. Franklin: “Un paese che rinunci alla propria libertà per avere più sicurezza, non merita né l’una né l’altra”. Con tutta evidenza, neanche lui è stato un buon profeta in patria.  

(prima stesura 2006, prima revisione 2018 circa) Foto mia, festiva dell’Oriente, Bologna 2018

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F/Utile

fùtile agg. [dal lat. futĭlis (dal tema di fundĕre «versare»), propr. «che lascia scorrere»]. – Di scarsissima importanza o serietà, frivolo: argomenti f.; discorsi f.; con un f. pretesto; litigio per f. motivi. In senso relativo, nel linguaggio giur.: agire per motivi f., reato commesso per motivi f., quando vi sia sproporzione tra il movente e l’azione criminosa, ciò che costituisce una circostanza aggravante.

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